Le meraviglie

Le meraviglie, Alice Rohrwacher (2014)

 

Là c’è una casa!

Inizia con questo grido nella notte il film di Alice Rohrwacher, molto applaudito a Cannes, unico film italiano in concorso, apparentemente lieve ma dalla struttura solida, consolidata, quanto l’antico casale che la accoglie. Come scrive Alice Munro, "Il racconto è una casa. Ci entri e ci rimani per un po’, andando avanti e indietro e sistemandoti dove ti pare, scoprendo i rapporti tra camere e corridoio, scoprendo come il mondo esterno viene alterato se lo si guarda da queste finestre.” 

Poi il tempo si mesce e i verdammte Jägers, i maledetti cacciatori che ci hanno accompagnati in quel mondo, spariscono, per far risentire la loro minaccia soltanto da lontano, dai confini, e diventano soltanto una delle tante minacce che accerchiano lo sgarrupato regno del padre di Gelsomina, Wolfang, lo straniero idealista che lotta per un mondo che sta morendo. Il vero pericolo però, la minaccia, è all’interno della famiglia e viene dalle donne: “È lei che ti tradirà” – dice l’amico di famiglia. È Gelsomina, infatti, che iscriverà la famiglia al concorso Le meraviglie; è Gelsomina che, pur essendo l’erede morale del padre, è curiosa di vedere Milano, vuole truccarsi, ballare e diventare come la Fata Bianca.

Non aspettatevi l’educata campagna toscana, la Rohrwacher ci riporta alla natura tout-court, al fango, all’erba alta e bagnata, agli insetti, al nulla che circonda le case dei contadini, alle donne che possono girare mezze nude intorno a casa, agli uomini che non riescono a sopportare un tetto sopra la testa, che per riuscire a dormire hanno bisogno del cielo e delle stelle, quegli uomini che hanno sempre troppo caldo, quelle donne che dormono vicine per scaldarsi e farsi coraggio, come gli animali, che serbano un segreto che non ha bisogno di essere spiegato.

Le meraviglie parla di una bambina che diventa ragazza, della sua storia d’amore col padre, delle loro incomprensioni, del loro non usare il linguaggio per comunicare ma i gesti, attraverso i loro goffi tentativi di dirsi quanto si vogliono bene e quanto soffrono l’uno per l’altra. Simbolo dello sfasamento di ritmo imposto dalla crescita della figlia è l’apparizione del cammello, regalo costoso di un desiderio ormai mutato, che ricorda i cervi lynchiani di Una storia vera. Improvvisamente, però, il film accelera, si accavallano troppi scarti narrativi quando ne bastavano pochi, quelli sufficienti a raccontarci lo stare volontariamente fuori dai giochi, il mettersi dolorosamente da parte, ciò che i bambini fanno più fatica a capire di certi adulti. Ci eravamo ormai affezionati a quel loro essere giusti e sbagliati, severi e fragili, lontani e vicini,  Abseitern. Questo accumulo, che vorrebbe mostrare la frattura tra il mondo di Wolfgang e Gelsomina e quello della società dello spettacolo, dell’Italia che crede nella televisione, sposta bruscamente il centro del racconto, e non basta il ritorno alla caverna, alle ombre che corrono sulle pareti della grotta in cui Gelsomina passa la sua prima notte lontana dalla famiglia, non basta il fischio che imita il canto dell’allodola. Per farci accettare questo confronto abbiamo bisogno del tempo, di polvere, di stanze vuote.

 

Uscito su Recencinema.