Class Enemy, Rok Biček (2013)

 

Ich möchte schlafen, aber du mußt tanzen.

"Vorrei dormire, ma tu devi danzare."

Theodor StormHyazinthen (Giacinti)

 

Forse questo film celebra il trionfo degli “occhiazzurrini”, forse narra le storie di quei Blauäugigen di cui parlava Thomas Mann. I vincenti, i biondi, gli ordinati, quelli che riescono a sopravvivere perché pensano soltanto cose di cui si può parlare. Quelli che riescono a esprimere quello che non riesce a dire Sabina, la grande assenza di questo film, l’apparente protagonista per sottrazione, la debole. Sabina, la ragazza che al mattino, prima di andare a scuola, indossa sempre lo stesso maglione per semplificare la realtà che la circonda ed eliminare dalla sua giornata almeno quella scelta; Sabina, che ha sempre la solita faccia quando i professori fanno l’appello. Una faccia fastidiosa per quanto è monotona, ci si ritrova a pensare, all’improvviso dalla parte dei lupi. Sabina, che al pianoforte suona sempre la stessa sonata. Sabina, che ha tutti gli accessori dello stesso colore – il giallo, il più instabile a detta di Kandinskij, e per lo stesso motivo il più odiato da Dostoevskij. Sabina l’Unbedeutend, l’insignificante, così come Tonio Kröger che “scriveva versi e non sapeva nemmeno rispondere alla domanda, che mai pensasse di fare nel mondo”. Sabina che si uccide senza lasciare tracce. E in fondo noi, a cui non interessa il motivo. 

Lo spettatore è messo così di fronte all’unico gesto arbitrario dell’intera vicenda. Non ci interessa sapere il perché. Sabina rappresenta soltanto una delle tante forze, o delle tante anti-forze, che fanno muovere il film e che occupano il dato microcosmo scolastico. Il gruppo di studenti ribelli, “rivoluzionari”, ha bisogno di identificarsi contro un nemico comune per rimanere unito e sfoga tutta la sua rabbia contro la figura del professore di tedesco, Robert Zupan. In realtà ciascun componente della classe combatte contro tutto e tutti, in direzione opposta e contraria, confuso come una scheggia impazzita, cercando di stare a galla per non sprofondare nella corrente. È proprio questo ciò che vuole insegnare il professor Zupan: raggiungere la riva, issarsi a bordo, sottrarsi ai vortici creati dalle correnti contrastanti di cui si è vittime. I ragazzi sembrano fluttuare attorno al maestro, come le falene contro il bulbo di una lampadina accesa al buio. Sabina, invece, ha deciso di fermarsi, a modo suo. È forse l’unica, o la prima, che ha imparato la lezione del professore, che in questi termini, se vogliamo, diventa davvero il colpevole. Nella penombra della sala iniziamo a capire che dobbiamo compiere anche noi una scelta, ma non ci viene indicata una strada. Il regista evita di schierarsi e la nostra esperienza continua ad aderire spontaneamente ad alcuni tratti dei personaggi. Così, noi come loro, veniamo spinti violentemente da attrazioni e repulsioni che all’inizio non riusciamo ad afferrare. Il regista riesce a gestire la qualità complessa del tema creando un’atmosfera compatta, e quando viene interrogato sull’idea narrativa che ha dato origine al film rimaniamo quasi delusi. Scoprire che si parla di una storia vera non la rende più forte, ne sottrae piuttosto una parte, la stempera. Ci troviamo davanti a una pellicola misurata, severa, che on si lascia andare, che non ci rivela tutto ma toglie, si ferma un attimo prima, per poterci dare la possibilità di sporgerci un passo oltre, da soli.

 

Uscito su Recencinema.