Riley è una ragazzina del Minnesota, appassionata di hockey (come tutte le ragazzine del Minnesota) e molto legata alla famiglia, come quasi tutte le ragazzine di quell’età, ancora al sicuro dall’adolescenza. Le sue emozioni sono molto affezionate a lei, in particolare Gioia, la prima arrivata. Anche tutti gli altri, però, vogliono dare il loro contributo alla sua crescita. Peccato che gli altri siano: Paura, Rabbia, Disgusto e Tristezza, e che i suoi genitori decidano di punto in bianco di trasferirsi a San Francisco.
La Disney è sempre stata famosa per i suoi film a lieto fine diabolicamente imposto. Qualsiasi storia passasse per le mani dei suoi sceneggiatori cangiava fino a estrudersi in un finale accogliente e rassicurante. Un esempio fra tutti La Sirenetta (1989), dove Tritone, intenerito dalla tristezza di Ariel, dona alla figlia la felicità che lei aveva cercato di guadagnarsi autonomamente, fallendo: un paio di gambe che la porteranno dritta dritta a un vestito bianco, a una torta nunziale multipiano e alla dissolvenza finale col suo bel principe sulla nave. Commovente. Eppure la storia di Andersen era una tragedia. Ariel si giocava tutto per dimostrare al principe il suo amore e nonostante questo lui sceglieva un’altra, condannandola a sacrificarsi e a pagare la sua scommessa trasformandosi in schiuma di mare. Olè. La Disney vanta un glorioso passato di storie tristi, quasi quanto Puccini, basti pensare a Dumbo (1941) e a Bambi (1942). Questo film, però non solo ci fa piangere almeno quanto i cani al circo o il leone Christian ma è un vero proprio inno alla melanconia, quell’emozione che nel cervello di Riley non esiste come materia prima, ma che nasce dall’esperienza, dall’amicizia tra Gioia e Tristezza.
Disney Pixar scrive un film per tutti quegli esseri umani zoppicanti e traumatizzati – e quindi per tutti gli esseri umani – regalandoci quello che nei nostri ricordi diventerà il novello Artax, perché non importa se sono passati secoli: le storie si nutrono ancora di sacrifici. Ciò nonostante, la pellicola si mantiene lievissima come nuvole, zucchero filato e caramelle al miele al posto di lacrime salate, composta da dialoghi che ricordano certi passi di Alice nel paese delle meraviglie (1951) per la loro trasognata assurdità. La Disney, non paga, si spinge oltre, non solo tesse questo elaborato elogio della Tristezza (usando come vero protagonista la Gioia), ma arriva addirittura a mostrare (in uno degli incubi di Riley) un cane squartato a metà, forse ultimo tabù che resiste al contemporaneo (giusto per rimanere in argomento “cani”). Ma non è ancora finita: la linea narrativa principale è affiancata da side characters di tutto rispetto che non solo citano gag storiche del cinema classico americano (come ad esempio quella dei cappelli invertiti di Stanlio e Ollio), ma si spingono fino a “Forget it Jake, it’s Chinatown” (Imagiland in questo caso, che purtroppo nella versione doppiata si perde un po’).
Insomma, abbasso i sereni, abbasso i serafici, la tristezza esiste ed è contagiosa, ma se unita alla gioia diventa bellissima. Per la prima volta non vedrete l’ora che arrivi settembre.
Uscito su Recencinema.